Disoccupazione Infermieristica

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Così come dichiara il Nursing&Midwifery Council (il Registro Britannico degli Infermieri), si stima che la migrazione di infermieri italiani verso il Regno Unito nel triennio 2012 – 2015 è aumentata del 70%, raggiungendo il numero di 2500 unità.
A conferma di quanto sopra, è molto interessante una ricerca effettuata dal Centro Studi Nursind che nel 2014 ha pubblicato un documento dove si analizzano i dati occupazionali degli infermieri laureati dal 2009 al 2013, un arco di tempo che coincide con la grave crisi economica che ha caratterizzato e sta connotando il nostro Paese. Il dato che colpisce di più è la continua decrescita dell’occupazione al primo anno dalla laurea, passata dal 90% del 2009 al 25% del primo quadrimestre 2014.
Tutto questo mentre i dati del rapporto OCSE 2014 dicevano che in Italia mancavano almeno 60.000 infermieri. Secondo l’IPASVI il fabbisogno di infermieri al 2020 potrebbe essere quantificato in 260mila unità. Questo numero empirico, basato su dati olandesi (10,1 infermieri ogni 1000 abitanti), rappresenta l’ambizione massima, ma se solo ci avvinassimo alla Francia, il numero sarebbe comunque di almeno 90mila unità.
La precarietà è l’altro fenomeno che caratterizza questi ultimi anni: dal 2003 al 2014 la forbice tra impiego a tempo indeterminato e tempo determinato è andata pian piano a ridursi sino a vedere un superamento del secondo sul primo.
Il 25 novembre 2016 sono entrate ufficialmente in vigore il riallineamento alla normativa europea e l’abrogazione delle illegittime precedenti disposizioni in tema di orario di lavoro del personale sanitario. Da questa data tutte le amministrazioni sono obbligate a garantire direttamente ed immediatamente le tutele in precedenza negate, che nello specifico si traducono nel rispetto del limite massimo di:

  • 12 ore e 50’ di lavoro giornaliero;
  • 48 ore di durata media dell’orario di lavoro settimanale, compreso lo straordinario;
  • 11 ore continuative di riposo nell’arco di un giorno.

Un obbligo che trova conseguenze di non poco conto rispetto al mancato adempimento, quali:

  1. la sanzione da 100,00 a 3.000,00 € in base al numero dei lavoratori coinvolti e dei periodi in cui la violazione è avvenuta per il mancato rispetto del riposo giornaliero (art.7 del D.Lgs. 66/2003);
  2. la sanzione compresa tra 200,00 e 10.000,00 €, sempre in base al numero dei lavoratori coinvolti e al numero dei periodi interessati, per la violazione della durata massima del lavoro settimanale (art.4, comma 2 del D.Lgs. 66/2003);
  3. la sanzione da 25,00 a 1.032,00 € in base al numero dei lavoratori coinvolti e delle giornate in cui la violazione si è verificata, per il superamento del tetto massimo annuale di 250 ore di straordinario e per il computo e compenso dello stesso (art.5, commi 3 e 5 del D.Lgs. 66/2003);
  4. la sanzione da 51,00 a 154,00 €, per ogni giorno e per ogni lavoratore adibito al lavoro notturno oltre i limiti previsti.

Senza trascurare che l’eventuale danno creato dal dipendente, adibito ad attività nel mancato rispetto delle prescrizione di cui sopra, potrebbe non essere rispettato dall’Assicuratore ed essere ricondotto di conseguenza nella responsabilità del Datore di Lavoro e degli organizzatori del lavoro, nel nostro caso del Coordinatore e del Dirigente Infermieristico
Purtroppo, in Italia vige l’assioma “fatta la legge trovato l’inganno” ed ecco che, invece di assolvere agli obblighi di cui sopra che se ben gestiti inevitabilmente porterebbero ad una inconfutabile riduzione del fenomeno della disoccupazione, in maniera del tutto ingiustificato si continua a sopperire alle carenze dell’organico con “strategie” in difformità ai principi normativi.