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In passato i compiti costituivano le unità di riferimento per assegnare responsabilità e doveri ai singoli lavoratori e organizzare il lavoro. Questo tipo di approccio, definito mansionarismo, fondava il rapporto di lavoro sulla descrizione dettagliata delle singole attività lavorative da cui si desumevano le capacità e le esperienze che dovevano essere possedute dal personale.
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Nella realtà contemporanea, invece, la necessità di dover gestire l’importanza della customer satisfaction, nella definizione degli standard e dei livelli di appropriatezza dei servizi da erogare, nonché la complessità delle organizzazioni e non ultimo la rilevanza sempre maggiore dell’apprendimento e della formazione continua, costituiscono alcuni dei fattori che caratterizzano la trasformazione della natura del lavoro e della sua organizzazione.
In un contesto così connotato diventa importante e strategico riconoscere e valorizzare la dimensione delle risorse umane disponibili, ovvero il capitale intellettuale professionale rappresentato dalle competenze possedute e dalla capacità individuale di acquisire Know-how, governare e applicare tale patrimonio.
Una mutazione sostanziale dalla quale scaturisce che le competenze di qualsiasi professionista dovrebbero essere formate da un mix equilibrato:
- del “Sapere”, cioè dall’insieme delle conoscenze, nozioni, informazioni ecc., sia di tipo generale, sia di tipo specialistico, che si acquisiscono con gli studi e che devono essere aggiornate di continuo;
- del “Saper Fare”, cioè dalla capacità di applicare, di usare, di mettere in pratica il Sapere già acquisito attraverso abilità concettuali e/o manuali per lo svolgimento di uno specifico incarico e/o compito;
- del “Saper Essere”, cioè da quelle caratteristiche personali, psicologiche, caratteriali e socio-culturali tali da consentire prestazioni efficaci ed efficienti, capacità di scegliere, di decidere, di assumersi la responsabilità, di agire, di rischiare, di sapersi organizzare e orientare;
- del “Saper Divenire”, cioè quella sfera in cui la formazione continua, l’autoformazione, l’aggiornamento permanente, la ricerca diventano la base per coltivare, annaffiare e curare il Sapere a tutto tondo.
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[icon_check] Non più, quindi, un insieme di compiti definiti e descritti in modo preciso, costanti nel tempo, connessi a ruoli e posizioni organizzative stabili, ma sempre più performance che evolvono e variano in funzione dei diversi ruoli che la persona si trova a ricoprire, connessi agli obiettivi/risultati complessivi che l’organizzazione si prefigge di raggiungere.
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[icon_check] In sostanza le competenze che la persona deve possedere diventano l’aspetto fondamentale su cui incentrare la gestione del personale e la definizione di ciò che si attende dal lavoratore in termini di prestazioni.
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[icon_check] In altri termini, è richiesto un mix virtuoso, in quanto, se si privilegia oltre misura il “Sapere” il risultato sarà una persona troppo “teorica”, “astratta”, “lontana dalla realtà”. Un operatore troppo “formato”, che saprà molto ma che saprà fare e produrre poco, che avrà difficoltà a mettere il Sapere in atti concreti. Saprà essere poco pragmatica e realista, poco utile. Paradossalmente, poco professionista perché troppo “accademica”. Al contrario, se si privilegia troppo il “Saper Fare” il risultato sarà un “praticone” come si è solito dire, inadeguato agli scenari professionali che richiedono, infatti, anche una preparazione di tipo teorica, nonché la capacità di saper leggere culturalmente gli stessi scenari. Se, invece, si privilegia troppo il “Saper Essere” il risultato è una persona molto “politica” e/o “estetica” , “furbacchiona”, “astuta”, “diplomatica”, ma nello stesso tempo vuota, fumosa, inconcludente sulle questioni davvero importanti, inadeguata di fronte a incarichi professionali degni di questa definizione.
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[icon_check] “Sapere”, “Saper Fare”, “Saper Essere” e “Saper Divenire” dunque, devono interagire tra di loro, per creare e modellare una professionalità aderente il più possibile alle situazioni di lavoro.
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