1955 – Nascono i Collegi
È il 1955, gli italiani allontanano i ricordi della guerra e si preparano, senza saperlo, agli anni del boom economico. In questo clima nascono i Collegi delle infermiere professionali, vigilatrici d’infanzia e assistenti sanitarie visitatrici, voluti da un decreto governativo dell’ottobre 1954. E voluti soprattutto da quelle operatrici della sanità consapevoli di essere preziose, ma che non avevano ancora ottenuto uno specifico riconoscimento professionale, poiché il decreto del 1946 sulle professioni sanitarie si era limitato a ripristinare gli Ordini dei medici chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti e ad istituire i Collegi delle ostetriche.
Da questo momento in poi i Collegi e la Federazione Ipasvi avranno un continuo sviluppo, registrando tutte le tappe della crescita e dei cambiamenti che hanno visto protagonista la professione infermieristica. Un primo passo importante fu convincere le infermiere, le assistenti sanitarie visitatrici e le vigilatrici d’infanzia, religiose e laiche, ad iscriversi negli Albi professionali: i dati registrati nel 1959, in occasione del Censimento nazionale degli esercenti le professioni sanitarie, mostrano i buoni risultati raggiunti, ma segnalano anche il perdurare di alcune difficoltà.
1960 – Nasce il primo Codice deontologico
Il 15 febbraio 1959 il Comitato centrale della Federazione Ipasvi comincia a discutere della necessità di mettere a punto un Codice deontologico infermieristico, che indichi le coordinate etiche in relazione alle quali operano le appartenenti alla professione. Il primo Codice deontologico delle infermiere italiane sarà pronto l’anno successivo, nel 1960. Una conquista importante che rappresenta un passo avanti nella costruzione dell’identità professionale, soprattutto nel rapporto con le altre professioni sanitarie.
Ma qualche anno dopo si avvertirà l’esigenza di rivedere quel testo con lo scopo di eliminare ciò che in esso era troppo “legato al tempo, ad elementi storici e sociali transitori”, come si legge nella presentazione del nuovo Codice. Si tratta, in sostanza, di togliere riferimenti troppo antiquati, stridenti con una nuova leva infermieristica che non è certo estranea ai fermenti sociali che in quegli anni attraversano non solo il nostro Paese, ma il mondo intero.
1965 – Infermieri a Congresso
Più benessere più possibilità di movimento, anche grazie al diffondersi delle automobili. Così finalmente la Federazione dei Collegi Ipasvi per il Paese e vi può indire il suo primo Congresso nazionale, svoltosi a Roma dal 31 maggio al 2 giugno del 1965.
La sede scelta per la cerimonia inaugurale fu il Palazzo degli Uffici all’Eur e registrò la partecipazione di tutte le “massime autorità religiose, militari e civili”, come recitavano abitualmente i giornali dell’epoca.
Anche se le fotografie sembrano raccontarci una realtà molto rigida e formale, il discorso di apertura dell’allora presidente Laura SterbiniGaviglio non fu affatto rituale: ripercorrendo le tappe dei dieci anni di vita dei Collegi, sottolineò tutte le difficoltà con le quali la professione si doveva confrontare, dalla mancanza di scuole statali e gratuite per la formazione, ai problemi di inquadramento contrattuale, alla più generale difesa della dignità della professione infermieristica, concludendo con l’affermazione di essere ormai in tempi “maturi per il raggiungimento di un sistema di sicurezza sociale”.
1971 – Largo agli uomini!
“Estensione al personale maschile dell’esercizio della professione di infermiere professionale”: recita così la legge n. 124 del 25 febbraio 1971, con la quale si sancisce una vera rivoluzione nel mondo infermieristico. La storia della professione era stata fino a questo momento esclusivo appannaggio delle donne: una santa per proteggerle, quella matrona Fabiola che si dedicava all’assistenza nell’antica Roma, una donna come modello ideale, ovvero Florence Nightingale, e poi tante altre donne negli ospedali, nelle visite igieniche alle zone più difficili del Paese, nell’assistenza all’infanzia. Il lavoro infermieristico, visto come “ausiliario” e “vocazionale”, era giudicato particolarmente adatto alle donne e soprattutto alle religiose, che furono per molti anni la maggior parte del corpo infermieristico.
Una situazione che produceva, come conseguenza forse non voluta, la curiosa “anticipazione” di un protagonismo femminile anche in ruoli di vertice, si pensi ad esempio alle due rappresentanti infermieristiche chiamate, di diritto, nel 1957 a far parte del Consiglio superiore di Sanità. Ma lo sviluppo della società porta progressivamente ad una radicale trasformazione del ruolo delle infermiere, che acquistano sempre più competenza e autonomia professionale.
Dunque, anche per ragioni di equità sociale, la professione non può più essere preclusa agli uomini, ai quali oltretutto era invece già consentita la funzione di infermiere generico (e proprio sulla distinzione tra infermiere professionale e infermiere generico si aprirà un non facile dibattito tra i legislatori, interessati a reclutare personale, e i Collegi Ipasvi, preoccupati della tutela di una qualificazione professionale acquisita attraverso molti anni di studio). L’immissione degli uomini nei ruoli professionali produrrà anche un’accelerazione del cambiamento dei percorsi formativi, a cominciare dai Convitti che dovranno derogare all’internato per i nuovi allievi.
1973 – Formazione all’europea
L’Italia recepisce l’Accordo europeo sull’istruzione e formazione degli infermieri professionali (legge 15 novembre 1973, n. 795). Si tratta di una tappa importante nella storia della professione infermieristica: il documento sarà il punto di riferimento di tutto il processo di riordino normativo che si svilupperà dagli anni Settanta ad oggi.
L’Accordo di Strasburgo indica infatti i punti essenziali per una revisione dei programmi d’insegnamento e definisce la funzione educativa del tirocinio pratico degli allievi. Per uniformarsi alle indicazioni europee, che prevedono 4600 ore di insegnamento, saranno elaborati nuovi programmi di studio e la durata dei corsi passerà da due a tre anni. L’obiettivo è duplice: far crescere la qualità della formazione e consentire la possibilità per gli infermieri di lavorare nei vari Stati firmatari dell’Accordo.
1974 – Si rinnovano le mansioni
A definire il campo delle attività e le competenze degli infermieri nel 1974 interviene il Dpr 225, il cosiddetto “mansionario”, che modifica le precedenti norme di regolamentazione della professione risalenti al lontano 1940.
La riforma del Servizio sanitario, che vedrà la luce nel 1978 con l’approvazione della 833, è preceduta da un lungo periodo preparatorio in cui si pone mano al riordino delle attività delle professioni sanitarie. Nel complesso il “nuovo” mansionario viene accolto con favore dagli organismi di rappresentanza della professione che, pur sottolineandone alcune contraddizioni, al momento dell’emanazione lo considerano una tappa importante del processo evolutivo dell’assistenza infermieristica.
Il testo tende a stabilire un diverso approccio con l’assistito, non più visto solo come un malato con dei problemi clinici, ma come una persona che esprime bisogni psichici, fisici e sociali. In questa logica diventano fondamentali gli aspetti relazionali dell’attività infermieristica, che viene valorizzata nelle sue funzioni, come evidenzia la stessa terminologia che viene usata nel Dpr. Ad esempio, il termine “eseguire”, presente nel dettato normativo precedente, viene quasi sempre corretto con “programmare” e “promuovere … iniziative”; inoltre viene introdotto il termine “coordinare” e soppresso “dipendere”.
Il mansionario estende il campo di attività infermieristica dall’ospedale ai servizi di sanità pubblica e abbraccia i settori della prevenzione, della cura, della riabilitazione e dell’assistenza sanitaria. Viene riconosciuto anche il ruolo didattico dell’infermiere in rapporto all’assistito e alle famiglie, ma anche nei confronti di altri operatori e degli allievi.
In sintesi, con il Dpr 225 l’infermiere acquista una propria caratterizzazione professionale più adeguata ai tempi, a cui corrispondono il riconoscimento di una certa autonomia operativa e precise responsabilità relative alle attività individuate dal legislatore come specifiche: un elenco destinato, comunque, a invecchiare ben presto nell’impatto con le trasformazioni indotte dal progresso scientifico e tecnologico.
1977 – Messo a punto il secondo Codice Deontologico degli infermieri
Il Codice deontologico del 1977 è un testo sintetico, asciutto, ma non per questo privo di importanti sottolineature: “l’infermiere facilita i rapporti umani e sociali dell’assistito”, “l’infermiere, nel pieno rispetto dei diritti del malato, si avvale dei propri diritti sindacali”, “l’infermiere ha il dovere di qualificare ed aggiornare la sua formazione”. Vi si può leggere in controluce il profilo di una professionista che non rinuncia certo alla dimensione umana dell’assistenza, ma la arricchisce in una prospettiva sociale, coniugandola con un’affermazione di dignità della categoria che spazia dalle difese sindacali alla necessità dell’aggiornamento tecnico-scientifico.
Questo Codice resterà in uso per molti anni, senza che si ponga nuovamente l’esigenza di rinnovarlo, probabilmente proprio grazie alla caratteristica di estrema sintesi della formulazione.
1978 – Basta mutue, nasce il Servizio sanitario nazionale
Nel 1978 a dieci giorni dal Natale, presidente del Consiglio Giulio Andreotti, ministro della Sanità Tina Anselmi – uno schieramento parlamentare vastissimo, che in tempi recenti si è potuto rivedere solo in occasione dell’elezione di Ciampi a Presidente della Repubblica, dopo anni di dibattiti e scontri diceva sì all’istituzione di un Servizio sanitario nazionale pubblico con i soli voti contrari del Movimento sociale, del Partito Liberale e l’astensione dei repubblicani (in tutto meno del 15% degli elettori dell’epoca).
Con una maggioranza quasi plebiscitaria, quindi, anche l’Italia entrava nel club di quei Paesi che avevano scelto di dotarsi di un sistema nazionale di tutela della salute ponendo la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle malattie tra i primi compiti della Repubblica.
Le vecchie mutue, caratterizzate da evidenti sperequazioni tra le diverse categorie di assistiti, lasciavano il posto alle Usl, Unità sanitarie locali, che assumevano a proprio carico tutte le competenze in materia di assistenza sanitaria. Il finanziamento del sistema sarà assicurato dalla fiscalità generale (ma occorrerà attendere quasi un ventennio prima dell’effettiva fiscalizzazione dei vecchi contributi malattia) e viene istituito il Fondo sanitario nazionale che entra a far parte di un apposito capitolo di spesa del Ministero del Tesoro.
La riforma del 1978 sarà oggetto di moltissimi provvedimenti di modifica e integrazione, culminati nella prima grande riforma della riforma (quella del biennio 1992/93) che trasformò le Usl in “Aziende sanitarie locali” dotate di autonomia giuridica dando il via alla cosiddetta “aziendalizzazione” del sistema e dalla “riforma ter” (più nota come riforma Bindi dal ministro della sanità che la mise a punto) varata nel 1999, ma rimasta in gran parte ancora inattuata, soprattutto a causa del cambio di maggioranza seguito alle elezioni politiche del 2001 e dal contemporaneo avvio della riforma federalista dello Stato che ha rafforzato ulteriormente il ruolo delle Regioni nel governo della sanità.
1992 – Arrivano i diplomi universitari
Sono circa mille i primi studenti che nell’anno accademico 1992/93 varcano le soglie dell’Università per frequentare i corsi di diploma universitario per infermiere, avviati in 18 Atenei italiani. L’ingresso della formazione nell’Università è il punto d’arrivo di un decennio di battaglie portate avanti da tutta la professione per adeguare i percorsi formativi al ruolo di grande responsabilità svolto dagli infermieri in ogni struttura del sistema sanitario italiano e per entrare a pieno titolo in Europa.
Questa esigenza si integra perfettamente con il complessivo disegno di riforma dell’Università, varato nel 1990, che istituisce anche nel nostro Paese le “lauree brevi”. Alla fine del 1992 viene emanato il Dlgs 502 (poi 517) che, oltre a definire le competenze dell’Università, delle Regioni e delle Aziende del Ssn in materia di formazione infermieristica, stabilisce come requisito per l’accesso alle scuole a ai corsi il possesso del diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado di durata quinquennale. La nuova norma si prefigge di salvaguardare il patrimonio di esperienza didattica delle precedenti Scuole, prevedendo l’accreditamento delle sedi idonee con l’Università. Nel 1996/97 il periodo di transizione al nuovo sistema formativo si conclude con il passaggio definitivo di tutta la formazione di base in ambito universitario. Sul diploma, accanto alla firma del Responsabile del corso, figura ora quella del Rettore dell’Università.
1994 – Una grande manifestazione in piazza
Il 1° luglio del 1994, per le strade di Roma sfilano 50mila lavoratori della sanità, infermieri professionali per la gran parte. Una manifestazione che chiedeva più attenzione per il sistema sanitario pubblico, in anni in cui la ricetta privatistica sembrava la soluzione di ogni problema, e soprattutto interventi per una migliore qualificazione delle professioni sanitarie, ovvero i nuovi profili professionali sui quali si discuteva da tempo ma che tardavano ad arrivare.
Ma il lungo corteo romano rappresentò anche un momento di passaggio fondamentale per la costruzione di una nuova e più forte identità professionale: striscioni, cartelli, migliaia di palloncini mostrarono a tutti che gli infermieri di oggi erano lontani e diversi dagli stereotipi del passato.Tutti gli slogan ruotavano intorno a questa consapevolezza: “Infermiere qualificato, paziente tutelato”, “Vogliamo migliorare per assistere e curare”, ed anche, in una polemica ironica ma non priva di fondamento, “Signor dottore ho commesso un gran reato, ho pensato, ho pensato”. Senza dimenticare anche gli obiettivi immediati: “Costa, Costa, vogliamo una risposta”. E la risposta arrivò rapidamente, perché pochi mesi dopo, a settembre, l’allora ministro della Sanità Raffaele Costa firmò il decreto ministeriale che definiva ruolo e funzioni degli infermieri professionali.
1994 – Gli infermieri hanno un nuovo profilo
Il profilo professionale è la pietra miliare nel processo di professionalizzazione dell’attività infermieristica. Il decreto ministeriale 739/94 riconosce l’infermiere responsabile dell’assistenza generale infermieristica, precisa la natura dei suoi interventi, gli ambiti operativi, la metodologia del lavoro, le interrelazioni con gli altri operatori, gli ambiti professionali di approfondimento culturale e operativo, le cinque aree della formazione specialistica (sanità pubblica, area pediatrica, salute mentale/psichiatria, geriatria, area critica).
Il profilo disegnato dal decreto è quello di un professionista intellettuale, competente, autonomo e responsabile. Analoga definizione dei campi di attività e delle competenze verrà successivamente stabilita anche per l’infermiere pediatrico (Dm 70/97) e per altri 20 profili professionali, tra cui figurano quello dell’assistente sanitario, dell’ostetrica, del terapista della riabilitazione, del tecnico di laboratorio ecc. L’attivazione del profilo si presenta come il banco di prova per verificare la compliance tra le aspirazioni e le potenzialità degli infermieri, che sono chiamati ad assumere – anche formalmente – la responsabilità di gestire autonomamente il processo assistenziale, dal momento decisionale a quello attuativo, valutativo e di confronto.
1996 – il Patto tra infermiere e cittadino
Il Patto è uno strumento del tutto innovativo che dà spazio all’esigenza crescente di protagonismo autonomo della professione, rivolgendosi al naturale interlocutore della propria attività. Si tratta di un’autentica scommessa, che inquadra l’assistenza in una dimensione sociale più ampia dei soli limiti delle strutture sanitarie proponendo un “contratto” senza mediazioni tra i veri protagonisti dell’assistenza, cioè proprio l’infermiere e il cittadino.
1999 – Mai più “ausiliari”
Non più “professione sanitaria ausiliaria”: finalmente questa anacronistica e impropria definizione attribuita agli infermieri viene definitivamente cancellata da una legge dello Stato. La legge 42/99 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie) sancisce che il campo proprio di attività e di responsabilità della professione infermieristica è determinato dai contenuti del decreto istitutivo del profilo, dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post base, nonché dai Codici deontologici che la professione si dà.
1999 – Arriva il terzo Codice Deontologico
In linea con il Patto del 1996 si arriva ad una riscrittura del Codice deontologico infermieristico, presentato in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere il 12 maggio del 1999. Obiettivo del nuovo Codice è quello di indicare le caratteristiche della mission infermieristica in modo da dare spazio alle esigenze di autonomia professionale e fornendo una traccia di riflessione per il quotidiano confronto tra i professionisti e i ritardi della cultura e delle strutture in cui operano.
2000 – Laurea specialistica e dirigenza
A fissare gli ultimi tasselli al percorso di riordino della professione è la 251/2000 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica). Questa legge stabilisce che gli infermieri in possesso dei titoli di studio rilasciati con i precedenti ordinamenti possono accedere alla laurea di secondo livello in Scienze infermieristiche.
Passa così, dopo una lunga battaglia della Federazione Ipasvi, il principio dell’equipollenza dei titoli ai
fini della prosecuzione degli studi. Ma l’importanza della 251 consiste soprattutto nel riconoscimento “formale” della dirigenza: per gli infermieri si aprono così le porte per l’accesso alla nuova qualifica unica di dirigente del ruolo sanitario. In attesa dell’entrata a regime della specifica disciplina concorsuale, disposizioni transitorie stabiliscono che le Aziende sanitarie possono comunque procedere all’attribuzione degli incarichi di dirigente dei Servizi dell’assistenza infermieristica e ostetrica “attraverso idonea procedura selettiva tra i candidati in possesso di requisiti di esperienza e qualificazione professionale predeterminati”. A tali figure sono attribuite la responsabilità e la gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni, nonché la revisione dell’organizzazione del lavoro incentivando modelli di assistenza personalizzata.
2001 – Lauree in armonia con l’Europa
I decreti del 2 aprile del 2001 sulla determinazione delle classi di laurea delle professioni sanitarie si inquadrano nel generale processo di riforma dell’Università, che va avanti per armonizzarsi con lo scenario europeo: i corsi di diploma universitario per infermiere si trasformano così in laurea triennale e viene prevista la laurea specialistica nelle Scienze infermieristiche e ostetriche, a cui accedere sulla base dei crediti acquisiti nella formazione di base.
Nella specifica classe di laurea riservata alle professioni sanitarie infermieristiche e alla professione sanitaria ostetrica sono collocati i profili dell’infermiere, dell’ostetrica e dell’infermiere pediatrico.
2002 – Una legge per arginare l’emergenza
Il 2002 si apre con l’emanazione di una legge che riguarda gli infermieri, la n. 1 dell’8 gennaio (Conversione in legge, con modificazioni del decreto legge 12 novembre 2001, n. 402, recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario). Il provvedimento, nato sulla spinta dell’emergenza infermieristica, in realtà fissa alcuni principi di carattere più generale:
- riconosce agli infermieri dipendenti del Ssn la possibilità di svolgere attività libero-professionale all’interno delle strutture della loro Amministrazione per garantire attraverso “prestazioni aggiuntive … gli standard assistenziali nei reparti di degenza e l’attività delle sale operatorie”;
- prevede la possibilità di riammettere in servizio infermieri che abbiano volontariamente risolto il rapporto di lavoro, stipulando contratti a tempo determinato;
- definisce le funzioni dell’operatore socio-sanitario, ribadendo che esso svolge le sue attività “conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”;
- valorizza la formazione complementare e attribuisce valore di titolo valutabile ai fini della carriera ai Master e agli altri corsi post base.
2004 – Al via le Lauree specialistiche
Con decreto del 9 luglio 2004 il Miur fissa le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea specialistica in Scienze infermieristiche e con decreto del 27 luglio definisce i posti per le immatricolazioni. Il 1° ottobre, con un ulteriore decreto, riconosce ai fini dell’ammissione “in deroga al superamento dell’apposita prova” la posizione degli infermieri già in possesso dei titoli rilasciati dalle Scuole dirette a fini speciali e titolari, da almeno due anni, dell’incarico di direttore dei Servizi infermieristici o di direttore o coordinatore dei corsi di Laurea.
Così, nell’anno accademico 2004-2005 la Laurea specialistica diventa finalmente una realtà concreta e i corsi partono in 15 Atenei italiani.
Un obiettivo che la Federazione e i Collegi Ipasvi hanno perseguito con tenacia, con il fine di offrire agli infermieri la possibilità di intraprendere percorsi formativi sempre più articolati e diversificati, che li rendano protagonisti attivi e competenti di un mondo sanitario in continuo sviluppo.
La Laurea specialistica (o magistrale) non è una tappa formativa obbligatoria, ma un’opportunità per gli infermieri che intendano acquisire il livello professionale necessario ad esercitare specifiche funzioni nell’area clinico-assistenziale avanzata, nella gestione, nella formazione e nella ricerca.
2006 – Partono i primi dottorati
Partono i primi dottorati in Scienze infermieristiche: è la tappa che completa il percorso accademico della professione infermieristica nel nostro Paese.
Il conseguimento dell’importante obiettivo si deve alla sensibilità di alcune prestigiose Università, ma anche al sostegno della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi concretizzatosi, nella fase conclusiva, con il finanziamento di alcune borse di studio.
Il primo bando ad essere pubblicato è stato quello dell’Università romana di Tor Vergata, a cui ben presto si è aggiunta Firenze.
2009 – Viene approvato il nuovo Codice Deontologico infermieristico
L’esigenza di ridefinire l’articolato riflette l’evoluzione della professione, che nell’arco di un decennio ha acquisito un’identità finalmente netta e definita nei suoi contorni: l’infermiere non è più “l’operatore sanitario” dotato di un diploma abilitante, ma “il professionista sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica”. Un professionista che, in quanto tale e anche nella sua individualità, assiste la persona e la collettività attraverso l’atto infermieristico inteso come il complesso dei saperi, delle prerogative, delle attività, delle competenze e delle responsabilità dell’infermiere in tutti gli ambiti professionali e nelle diverse situazioni assistenziali.
Da questa significativa svolta ha origine il “nuovo” rapporto infermiere-persona/assistito recepito dal Codice deontologico dell’infermiere 2009.
2015 – Con il recepimento della direttiva 2013/55/UE arriva la Tessera professionale europea
Il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2013/55/UE introduce la tessera europea che in prima battuta riguarda cinque professioni regolamentate, tra cui in prima linea gli infermieri.
Nel testo sono scritte le competenze che la normativa Ue prevede per gli infermieri e nel Dlgs si legge:
“Il titolo di infermiere responsabile dell’ assistenza generale sancisce la capacità del professionista in questione di applicare almeno le seguenti competenze, a prescindere dal fatto che la formazione si sia svolta in università, in istituti di insegnamento superiore di un livello riconosciuto come equivalente o in scuole professionali ovvero nell’ambito di programmi di formazione professionale infermieristica:
la competenza di individuare autonomamente le cure infermieristiche necessarie utilizzando le conoscenze teoriche e cliniche attuali nonché di pianificare, organizzare e prestare le cure infermieristiche nel trattamento dei pazienti, sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite, in un’ottica di miglioramento della pratica professionale;
- la competenza di lavorare efficacemente con altri operatori del settore sanitario, anche per quanto concerne la partecipazione alla formazione pratica del personale sanitario sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite;
- la competenza di orientare individui, famiglie e gruppi verso stili di vita sani e l’autoterapia, sulla base delle conoscenze e delle abilità acquisite ai sensi del comma 6, lettere a) e b);
- la competenza di avviare autonomamente misure immediate per il mantenimento in vita e di intervenire in situazioni di crisi e catastrofi;
- la competenza di fornire autonomamente consigli, indicazioni e supporto alle persone bisognose di cure e alle loro figure di appoggio;
- la competenza di garantire autonomamente la qualità delle cure infermieristiche e di valutarle;
- la competenza di comunicare in modo esaustivo e professionale e di cooperare con gli esponenti di altre professioni del settore sanitario;
- la competenza di analizzare la qualità dell’assistenza in un’ottica di miglioramento della propria pratica professionale come infermiere responsabile dell’assistenza generale”.
2017 – Nuova responsabilità per gli infermieri e le professioni sanitari
Con l’approvazione della legge 24/2017 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” si
riconosce per la prima volta la trasversalità della rilevanza dei compiti e delle azioni di tutte le professioni impegnate nell’assistenza e per soddisfare i bisogni dei pazienti. I suoi principi riguardano le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida a cui ci si dovrà attenere per non incorrere nei profili della responsabilità. Queste saranno messe a punto dalle istituzioni, dalle società scientifiche, ma anche dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie. Poi, l’autorità giudiziaria dovrà affidare sempre la consulenza e la perizia a un collegio costituito da un medico specializzato in medicina legale, ma anche a uno o più specialisti con specifica e pratica conoscenza dell’oggetto del procedimento: tutte le professioni sanitarie potranno far parte a tutti gli effetti dei Ctu.
2018 – L’Oms proclama per la prima volta il 2020 anno dell’infermiere e lancia la campagna Nursing Now
E’ stata lanciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 27 febbraio 2018 una nuova campagna globale, denominata Nursing Now, per potenziare e supportare gli infermieri nell’affrontare le sfide sanitarie del XXI secolo.
In collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità e l’International Council of Nurses, Nursing Now mira a migliorare lo status e il profilo dell’assistenza infermieristica e per consentire agli infermieri di affrontare le sfide sanitarie del XXI secolo.
Nursing Now proseguirà fino alla fine del 2020, il 200° anniversario della nascita di Florence Nightingale, anno in cui gli infermieri saranno celebrati per la prima volta con un anno dedicato a loro in tutto il mondo.
L’obiettivo è migliorare la percezione degli infermieri, migliorare la loro influenza e massimizzare il loro contributo per garantire che tutti abbiano accesso alla salute e all’assistenza sanitaria.
2018 – Da “Collegio” a “Ordine”
Con la legge 11 gennaio 2018 (Legge Lorenzin), entrata in vigore il 15 febbraio dello stesso anno, viene istituita la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI). A livello provinciale/interprovinciale operano gli Ordini professioni infermieristiche (OPI) che accolgono solo le categorie degli infermieri e degli infermieri pediatrici (ex vigilatori d’infanzia).
Gli assistenti sanitari sono scorporati ed entrano nella Federazione Nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
E’ un passaggio importante in quanto il Collegio era un semplice ente ausiliario dello Stato mentre l’Ordine opera come ente sussidiario dello Stato e può quindi svolgere compiti amministrativi in luogo e per conto dello Stato.
2019 –È l’ora del quinto Codice deontologico degli infermieri, primo dell’era degli ordini professionali
Le regole della professione degli infermieri si aggiornano: nel 2019, a dieci anni dal Codice del 2009: la guida della professione diventa moderna e si adegua ai tempi così come i tempi si stanno via via adeguando alla professione e alla professionalità degli infermieri.
Le sue caratteristiche sono massima trasparenza e condivisione e il Codice deontologico è un criterio guida per l’esercizio professionale dell’infermiere che deve tenere conto della sua evoluzione sia sotto il profilo giuridico che dello status e delle competenze professionali.
L’infermiere oggi è un professionista della salute al quale ogni cittadino si rivolge in un rapporto diretto confidando nell’opportunità di ricevere un’assistenza professionale, pertinente e personalizzata.
Il nuovo Codice deontologico 2019 rappresenta, per l’infermiere, uno strumento per esprimere la propria competenza e la propria umanità, il saper curare e il saper prendersi cura.
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